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La città che non c’era e quella che potrebbe non esserci mai
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La città che non c’era e quella che potrebbe non esserci mai

Giovedì 20 marzo si è concluso il primo ciclo di incontri di A.S.T.I FEST off, organizzato dalla Commissione Cultura dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Asti come seguito del Festival

Giovedì 20 marzo si è concluso il primo ciclo di incontri di A.S.T.I FEST off, organizzato dalla Commissione Cultura dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Asti come seguito del Festival dell’Architettura di settembre; il tema affrontato è stato quello della rigenerazione urbana, con la presentazione di due casi significativi di come sia possibile immaginare, pianificare e realizzare il futuro delle proprie città: Torino e Lucca.

Chi torna a Torino dopo tanto tempo quasi non la riconosce. Cosa è accaduto? Quali processi e quali progetti hanno trasformato quella che era universalmente conosciuta come città dell’automobile in una città della cultura di livello mondiale?
A queste domande hanno risposto nel corso della prima serata l’ex Sindaco di Torino Castellani, l’ex Assessore Alfieri ed i tecnici di Urban Center Metropolitano.
Il Piano Strategico della città è stato il simbolo della volontà dei torinesi di non accettare quel declino che pareva inevitabile: i relatori lo hanno definito come il racconto di una visione, l’idea di una nuova città, il cui merito primario è stato quello di far cambiare radicalmente la mentalità dei cittadini. Un processo ben narrato da Alfieri nel libro «La città che non c’era».
Castellani ed Alfieri hanno sottolineato due fattori fondamentali per la riuscita del processo di rinascita della città: da una parte la “visione” dell’Amministrazione, portata avanti con ferrea determinatezza anche a costo di scelte a volte impopolari; dall’altra la voglia dei cittadini di cambiare la propria mentalità. L’ex Sindaco ha inoltre sottolineato come nell’elaborazione dei vari Piani Strategici di Torino siano risultati più importanti i processi di partecipazione che le regole scritte all’interno dei documenti.

Visione, leadership, team work, inclusione sociale, collaborazione pubblico/privato, economia della cultura, fare sistema, confronto, aggregazione, sono state le espressioni più ricorrenti nelle esposizioni dei relatori, i quali hanno contagiato i presenti con la narrazione appassionata ed appassionante di un’avventura, di una scommessa, della metamorfosi di una città all’inizio apparentemente impossibile, ma ugualmente sognata, minuziosamente progettata e tenacemente perseguita.

La seconda serata ha visto come protagonista la città di Lucca e l’imponente progetto di riqualificazione urbana «Lucca Dentro», anch’esso basato sulla “visione” di una nuova città fondata sull’accessibilità (intesa come capacità di accoglienza, di accesso, di frequentazione, di riappropriazione di aree urbane dequalificate) e sulla sostenibilità ambientale (intesa come qualità della vita, risparmio energetico, eliminazione degli inquinamenti, eliminazione delle barriere architettoniche, manutenzione del verde urbano). Non slogan, non parole vuote, non meri titoli ad uso stampa, bensì un complesso processo elaborato e monitorato costantemente fatto di idee, progetti, ricerca e conseguimento dei finanziamenti, modalità trasparenti di assegnazione degli incarichi e degli appalti, tempi certi, programmi di gestione economica degli immobili riqualificati.
A monte di tutto, in un Documento di orientamento strategico, la città di Lucca aveva chiarito a sé stessa quali fossero le proprie criticità e quali le risorse, aveva indicato le azioni per le quali si dichiarava disponibile e quelle per le quali si dichiarava indisponibile, quali avrebbero dovuto essere i progetti/soggetti per cui rendersi appetibile. È stato pensato un nuovo “prodotto Lucca”, sono state fatte azioni di marketing urbano promuovendo nel mondo la nuova città ed infine è stato dato il via alle varie azioni di rigenerazione urbana.

E Asti? Oggi la città è obbligata ad un cambiamento, che risulta tanto evidente quanto ineludibile.
A mio avviso è però anche pronta per tale cambiamento: lo si capisce dagli interventi dei relatori ad incontri e convegni, lo si legge sui giornali, lo si avverte nei discorsi di giovani che oggi non vedono altra soluzione che lasciare la propria città ed il proprio paese per cercare un futuro altrove, ma che nel contempo non attendono altro che le parole di qualcuno in grado di dare loro anche solo un motivo per restare.
A tali richieste un’Amministrazione non può non rispondere, oppure rispondere con sterili dissertazioni circa esigenze di bilancio, riduzione delle risorse, impedimenti legislativi, lungaggini burocratiche, mancanza di personale o di competenze. Tutto questo è già noto, sono anni che giornali e televisioni ripetono queste frasi come dei mantra: la città ha bisogno di altro, noi cittadini abbiamo bisogno di altro.
L’ex sindaco di Barcellona, artefice della grande rinascita della città catalana, affermava che i progetti devono nascere dalle esigenze di una comunità e dalla fantasia delle sue componenti attive: tanto più esse saranno convinte dei progetti, tanto più saranno capaci di trovare le risorse per realizzarli. Comunità, fantasia, progetti, risorse: queste sono le parole che vogliamo sentire.

Non si chiede ad un’Amministrazione di realizzare la completa riqualificazione della città nel quinquennio di un mandato elettorale, sarebbe impensabile. Si chiede semplicemente che questo processo abbia inizio: da qualche parte, con qualche atto concreto, un’idea, un programma, una scelta di campo. Meglio se concertata, meglio se condivisa, ma che una scelta ci sia.

L’architetto Di Bugno, dirigente del Comune di Lucca, ha affermato che siamo ad un punto di svolta: non è più possibile governare le città come si è fatto finora. Un Comune oggi deve comportarsi come una società, dove il dirigente è un manager ed ogni sua decisione và ponderata con occhio costante al rapporto costi/benefici nel medio/lungo periodo. L’operazione economicamente si regge? Si fa. Non si regge? Non si fa.

Affermare che iniziative immobiliari proposte da privati risultano appetibili per un Comune unicamente perché porteranno nelle sue casse ingenti oneri di urbanizzazione è ragionare in modo anacronistico: equivale a fare un salto nel buio. In tal caso il cittadino credo abbia il diritto di porre all’Amministrazione alcune domande: ad esempio tali oneri basteranno per urbanizzare il nuovo insediamento? E nei successivi 10-15 anni l’operazione porterà al Comune flussi di cassa positivi o negativi? E la realizzazione dell’intervento come influirà nelle dinamiche (ad esempio) dei Piani Generali del Commercio o del Traffico. Sono stati analizzati scenari alternativi? Chi ha effettuato queste analisi? É possibile consultare queste analisi sul sito del Comune?

Oggi una Amministrazione non può più permettersi di salutare come una vittoria la riqualificazione di un edificio pubblico caduto in disuso se non ha prima provveduto ad identificare la sua nuova funzione, scelto il soggetto gestore e definito con lui le modalità di gestione dell’immobile: le riqualificazioni edilizie, come le trasformazioni urbane, non devono essere fini a se stesse, bensì essere capaci di attrarre investimenti. Prima i contenuti, poi i contenitori.

In tema di finanziamenti, nel corso della seconda serata è stato affermato dall’Amministrazione che «le briciole di Torino possono essere un tesoro per Asti»: la concezione per cui nasce l’idea di un Piano Strategico è l’esatto opposto e spero che quanto emerso nel corso delle due serate serva in qualche modo a mutare il punto di vista di chi ci governa. Una visione strategica ha il compito di proporre una propria identità ed una propria progettualità al mondo, e ha l’obiettivo di confrontarsi con le altre entità cittadine e territoriali senza sudditanza, senza soggezione: non è più possibile accontentarsi degli scarti di altri!

Mi auguro infine che gli eventi organizzati dagli architetti, come pure gli incontri promossi da altri soggetti economici e culturali cittadini, possano contribuire a rendere evidente quanto sta accadendo in città, ovvero che molte realtà stanno spontaneamente cercando di acquisire un lessico comune per condividere idee e progetti, stanno tentando di divenire una sorta di personalità collettiva: l’Amministrazione in primis, ma anche gli altri soggetti economici forti della città, non possono non essere protagonisti di questo processo, non possono chiamarsi fuori dalla costruzione di quella nuova Asti che, se non fortemente voluta da tutti, potrebbe non esserci mai.

Marco Pesce

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